2. GIULIO CESARE, “MARITO DI TUTTE LE MOGLI E MOGLIE DI TUTTI I MARITI”

Quando questa battuta prese a circolare per Roma, lanciata da Curione e ripetuta da Cicerone con il cruccio di non esserne l’autore, il primo a riderne fu proprio lui, Caio Giulio Cesare (100-44 a. C.), né, pare, l’impressionarono le malignità di Dolabella, secondo il quale era stato “rivale della moglie di re Nicomede e sponda interiore della lettiga del re”, e di Bibulo, che lo definì “rivale della regina di Bitinia”.  Le voci avevano un fondamento: all’età di sedici anni Cesare, mandato in missione militare in Bitinia, secondo  lo storico Svetonio sarebbe diventato l’amante del re Nicomede.  Le maldicenze venivano però bilanciate dai quattro matrimoni e dal numero di amanti che Cesare ebbe, fra le quali troviamo Postumia, Lollia, Tertulla, Muzia, Eunoe regina di Mauritania, Cleopatra regina d’Egitto, oltre che l’amatissima Servilia, madre di Bruto, alla quale succederà nei suoi favori la figlia Terzia, di Bruto sorella, tanto che, durante i trionfi, i legionari cantavano: “E’ tornato il pelato sporcaccione, romani rinchiudete le mogliere”.

giulio cesare

Tuttavia quando la terza moglie, Pompea, venne processata per essersi incontrata nel tempio di cui era sacerdotessa con il proprio amante, Clodio, play-boy ante litteram, Cesare, dopo averla difesa e averla fatta assolvere probabilmente corrompendo i giudici, cosa normale per quei tempi e non solo per quelli, la ripudiò, affermando che la moglie di Cesare non dovesse essere sfiorata neppure dal sospetto.  L’uomo era questo, ambizioso, colto, elegante, coperto di debiti che non avrebbe mai pagato, buon letterato, eloquente al punto da poter rivaleggiare con Cicerone, ma anche esperto nel maneggio delle armi, nell’equitazione e nel  nuoto, e grandissimo stratega.  A ciò va aggiunto un grado di magnanimità verso i nemici vinti pressoché sconosciuto in quell’epoca, e una grande tolleranza verso le fierissime comunità ebraiche.  Nipote di Mario, e quindi per deriva familiare appartenente al partito popolare, ebbe da giovanissimo problemi con il partito conservatore, allora incarnato da Silla, che ormai padrone assoluto di Roma gli ingiunse di divorziare dalla seconda moglie, Cornelia, da cui Cesare avrebbe avuto la figlia Giulia, pena la perdita delle cariche pubbliche, dell’eredità e della dote della consorte, colpevole della sola colpa di non essere patrizia.  Fu graziandolo che Silla profetizzò per quel giovane chiacchierato e arrivista una carriera destinata a segnare a fondo Roma.  Cesare percorse le tappe del potere politico-militare bruciandole, l’ambizione al servizio delle capacità e viceversa.  Dopo avere governato la Spagna diede luogo, con Pompeo e Crasso, al Primo Triumvirato.  Ottenuto il governo delle Gallie, a chi, ripescando le maldicenze sui suoi trascorsi in Bitinia, ironizzava sul fatto che province così complesse sarebbero state al di sopra delle capacità di una donna, con altrettanta ironia ribatté che in Asia aveva appunto regnato e con successo una donna, Semiramide, e alle parole fece seguire i fatti.  Germani, Galli e Britanni dovettero rendersi conto a più riprese delle capacità del condottiero che avevano di fronte.  Cesare era un formidabile motivatore delle proprie truppe, marciava fra i legionari, mangiava il loro stesso rancio e, se la battaglia volgeva al peggio, faceva allontanare i cavalli dei cavalieri, compreso il proprio, perché a nessuno venisse la tentazione di fuggire.  Dopo la morte della figlia Giulia, data in moglie a Pompeo, i rapporti fra i due triumviri divennero tesi.  Passando in armi il Rubicone, fiumiciattolo del Cesenate rappresentante il limite oltre il quale le legioni non potevano spingersi, forse non disse davvero “Il dado è tratto”, ma certo diede una svolta al proprio destino.  Fu guerra civile.  Cesare sconfisse Pompeo a Farsalo, arruolò sotto le proprie file i prigionieri catturati e graziò Bruto, figlio dell’amata Servilia, e Cassio, marito di Terzia, figlia di Servilia e già sua amante, e il senno di poi suggerisce che meglio avrebbe fatto a non farlo.  Pompeo, fuggito in Egitto, venne fatto assassinare da re Tolomeo XII.  Cesare, sopraggiunto, ne inorridì, eliminò Tolomeo e impose sul trono la sorella Cleopatra, “femme fatale” giovanissima, colta, poliglotta e, per quel che se ne sa, discretamente bella.  Con lei metterà al mondo Cesarione, e tornerà a Roma esibendola come un trofeo, per dopo ricongiungersi con la moglie Calpurnia e perdonare Cicerone e i conservatori che nel frattempo avevano approfittato della sua assenza.  Fu quest’uomo che aveva risparmiato loro la vita che Cassio e Bruto decisero di sopprimere.  Ai loro occhi esisteva il rischio che Cesare volesse farsi re, cosa deprecabilissima nella Roma repubblicana, e del resto il culto ormai imperante della sua personalità dava forza alle loro ragioni: Cesare era stato nominato dittatore a vita, godeva del titolo di padre della patria, aveva un seggio d’oro in Curia e già un mese dell’anno portava il suo nome (iulius-luglio).  Il 15 marzo del 44 a.C. lo attesero in Senato per coprirlo di pugnalate.  Cesare non aveva scorta.  Forse non disse a Bruto: “Anche tu, figlio mio”, confermando la voce che il congiurato fosse davvero suo figlio come si mormorava, ma certo il dolore nel vederlo fra i propri assassini dovette essere grande.  Ebbe funerali solenni.  Pare che dei circa sessanta cospiratori nessuno sopravvisse oltre i tre anni successivi.  Bruto e Cassio certamente no, ma questa è una storia diversa.

 

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