3. GIROLAMO SAVONAROLA: DAL PULPITO AL ROGO PASSANDO PER LA FORCA

Nato a Ferrara nel 1452, fra’ Girolamo Savonarola arrivò a Firenze nel 1481 con l’incarico di istruttore dei novizi, ma in breve ottenne di poter predicare dal pulpito.  Già aveva le idee chiare sulla corruzione del clero e della società, e nella ricca e colta Firenze vide la sintesi di tutto ciò che ai suoi occhi era vizio e depravazione.  Le sue prediche veementi, tenute in un linguaggio diretto e urlato con melodrammatiche sottolineature gestuali, dapprima fecero solo sorridere i fiorentini, abituati a incontrare per le vie della città personaggi come Poliziano, Verrocchio, Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti, e sbigottivano al cospetto di quel frate che sembrava, in pieno Rinascimento, un residuo del più cupo Medio Evo.  Savonarola aveva eletto a nemico principale la cultura, a suo dire pervertitrice dei costumi.  “Questa città non si chiamerà più Firenze, ma turpitudine, sangue, covo di ladroni” tuonava, tant’è che i fiorentini, al solito canzonatori, gli appiopparono il nomignolo di “predicatore de’ disperati”.  Continui i suoi attacchi ai Medici, signori della città, e a quel grande gentiluomo e acuto politico che era Lorenzo, non per nulla detto “il Magnifico”, che incassava con civiltà, e anzi pare andasse ad ascoltarlo mescolato con la folla, fino ad arrivare a invitarlo a tenere un sermone a Palazzo Vecchio, il cuore della Signoria, per ricevere anche là una razione di furibonde reprimende.  Ma il 7 aprile 1492, pochi mesi prima della scoperta delle Americhe, Lorenzo, già malato, si aggravò.

savonarola

Fra tutti i possibili confessori mandò a chiamare proprio il Savonarola, e qua le fonti discordano su quanto avvenne, perché secondo alcuni il frate si comportò da frate, secondo altri, invece, da Savonarola, e infierì con il solito piglio sul moribondo.  Lorenzo aveva solo 43 anni.  Gli successe il figlio Piero, che i fiorentini già avevano soprannominato “il fatuo”.  La goffaggine politica di questo giovanotto tanto dissimile dal padre costò ai Medici la Signoria, perché, alla calata in Italia di Carlo VIII di Francia, anziché difendere con le armi la città provvide a rabbonirlo inviandogli 200000 fiorini.  Non è provato che i fiorentini anelassero davvero a venire assediati, affamati, sconfitti, violati e vessati secondo gli usi guerreschi dell’epoca, ed è probabile che, potendo scegliere, avrebbero comprato anch’essi la benevolenza del re di Francia, ma il pretesto fu buono per la sommossa.  Il governo repubblicano che ne scaturì trovò nel Savonarola il proprio ideologo e la propria anima, e va da sé che si trattava di un’anima intransigente.  Il frate proibì ogni passatempo, dai balli alle corse di cavalli ai cortei carnevaleschi.  Suo braccio armato divennero i “piagnoni”, milizia di fanatici che pattugliavano la città segnalando o addirittura aggredendo le donne che camminavano con abiti a loro giudizio indecorosi o con tracce di trucco sul viso, ed entrò in vigore per esse il divieto di farsi il bagno perché la nudità, anche se privata, rappresentava la migliore esca per Satana, il che dimostra che, in un’epoca in cui l’igiene era scarsissimo e nessuno si sognava di fare il bagno, Savonarola le pensava davvero tutte pur di vietare qualcosa.  In questo clima di allucinante purificazione dei costumi vennero bruciati libri, opere d’arte, antichi manoscritti e carte da gioco, e sequestrati i gioielli, ovviamente nel nome di Dio.  La gaudente Firenze medicea si trasformò in un lugubre palcoscenico per processioni, penitenze, preghiere e, soprattutto, sermoni.  La conseguenza fu che, come reazione, ai “piagnoni” si contrapposero gli “arrabbiati”, con scontri che spesso finivano nel sangue.  Savonarola vigilava e puniva, mentre le sue prediche diventavano sempre più violente, anche perché, a ravvivare la miccia delle sue ire, al soglio pontificio era salito lo spagnolo Rodrigo Borgia, cioè papa Alessandro VI, il papa che “teneva famiglia” e usava in particolare due dei propri sette figli avuti da più donne, Lucrezia e Cesare, per controllare politicamente e militarmente quanto più gli riuscisse della penisola, ovviamente nel nome di Dio.  Questo papa malrazzolatore comprese subito che doveva liberarsi del frate, che lo accusava di corruzione, simonia, empietà, concubinaggio e incesto, e provò con l’arma della scomunica.  Poiché la cosa non sortì effetti, minacciò l’interdetto su Firenze nel caso che le autorità di Palazzo Vecchio non avessero posto fine alle prediche del frate, e questa volta l’effetto fu immediato, perché tale provvedimento avrebbe esposto al sequestro i beni che i mercanti fiorentini tenevano dispersi un poco dappertutto.  Per Savonarola fu la fine.  Una banda di “arrabbiati” circondò il convento di San Marco di cui il frate era priore, provocando l’intervento delle autorità che ormai altro non aspettavano.  Savonarola venne arrestato insieme con due suoi seguaci, i frati Silvestro e Domenico.  Seguì il consueto copione di interrogatori sotto tortura, fino a che Savonarola e Silvestro cedettero e si accusarono di eresia e scisma, al contrario di Domenico, che invece sopportò ogni tormento senza ammettere nulla.  Quello che il 23 maggio 1498 salì al patibolo con i due confratelli era una larva d’uomo piegato dalle sevizie, lontano ricordo dell’irruente predicatore.  Fu impiccato, vilipeso con sputi ed escrementi, bruciato, e le sue ceneri vennero disperse in Arno; ovviamente nel nome di Dio.

 

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