6. NELSON, EROE AD ABUKIR E TRAFALGAR, E INFAME PER AMORE A NAPOLI

Horazio Nelson (1758-1805) aveva già perduto l’occhio destro nel 1794 in Corsica, il braccio destro nel 1797 alle Canarie e larga parte della propria dotazione dentale  un poco dappertutto. Quando a Trafalgar affrontò la flotta di Napoleone comandata dall’ammiraglio Villeneuve, gli restavano altre parti anatomiche da sacrificare per il proprio paese; invece venne ucciso, e fece ritorno in patria dentro un barile colmo di brandy periodicamente rimboccato con acquavite, perché Nelson, parco bevitore in vita, da morto assorbiva significative quantità di alcol. Non era stato un combattente qualunque.  Aveva affrontato fino dall’età di dodici anni la dura esistenza del marinaio da guerra, e le mattanze delle battaglie navali durante le quali gli ufficiali rimanevano immobili sul cassero sotto una pioggia di proiettili per dopo, sciabola in pugno, guidare l’eventuale abbordaggio o respingere quello del nemico mentre i cannonieri si macellavano reciprocamente tuonando nel fumo. Stratega intelligente e uomo coraggioso fino allo sprezzo, quando nell’agosto 1798 imbottigliò nella baia di Abukir la flotta francese e la distrusse, isolando così l’armata del parvenu di Ajaccio sbarcata sulle coste egiziane, in Gran Bretagna era già un mito, e il suo “puntare diritto sul nemico” ormai faceva scuola fra i giovani comandanti impegnati sul mare contro i francesi e i loro alleati spagnoli e americani. Il 21 ottobre 1805 nei pressi delle coste della penisola iberica, a Capo Trafalgar, al cospetto della flotta avversaria salì sul ponte di comando della Victory con il petto ricoperto da tutte le proprie decorazioni, riconoscibilissimo ed evidente bersaglio per qualsiasi fuciliere nemico potesse considerarlo a tiro, e fece issare il segnale “L’Inghilterra si aspetta che ognuno faccia il proprio dovere”. Stava per morire un grande condottiero del mare, e per nascere un mito da celebrare nel marmo e nel bronzo.

orazio nelsonNel corso della battaglia, infatti, la Victory impegnò pennone contro pennone la francese Redoutable, sulla cui coffa di maestra era appostato un tiratore al quale non dovette sembrare vero di poter mettere il mirino del proprio moschetto sopra la minuta sagoma del comandante nemico.  Il proiettile andò a fermarsi nella colonna vertebrale di Nelson dopo avergli trapassato un polmone, uccidendolo dopo ore di agonia.  In patria il corpo rannicchiato e dal viso irriconoscibile venne composto in una bara ricavata dall’albero di maestra della nave ammiraglia francese Orient, affondata durante la battaglia di Abukir. Le esequie furono grandiose, ma subito dopo gli inglesi dovettero fare i conti con l’eredità morale di un eroe sulla cui memoria gravava una colpa che aveva in passato gettato discredito sull’intera nazione, perché Nelson, che a Trafalgar aveva perduto la vita invitto come Epaminonda, a Napoli, nel 1799, per colpa di una donna aveva perduto l’onore. La bella lady Emma Hamilton, moglie dell’ambasciatore inglese a Napoli, aveva un passato di mantenuta.  Fra lei e Nelson fu passione, che travolse il matrimonio di lui senza tuttavia compromettere quello di lei, dato che l’anziano Hamilton accettò con stile il menage a trois.  Ma Emma era anche intima amica della regina Maria Carolina, sorella di quella Maria Antonietta decapitata in Francia sei anni prima.  Quando i giacobini napoletani, sostenuti dalle baionette francesi, rovesciarono la monarchia e diedero vita alla effimera Repubblica Partenopea, Maria Carolina si rifugiò a Palermo con il consorte Ferdinando di Borbone, meditando una vendetta che non tardò a venire, e fu implacabile. Ritiratesi le truppe francesi, il sinistro cardinale Ruffo abbatté la Repubblica con le proprie forze regolari e con l’aiuto delle bande del brigante Michele Pezza, detto Fra’ Diavolo, ma offrì ai repubblicani sconfitti una “onorevole capitolazione”, che comportava il salvacondotto per i capi giacobini. Fu a questo punto che intervenne Nelson, giunto a Napoli con la propria flotta.  Su istigazione di Emma, chiaramente guidata dalla regina, permise a re Ferdinando di annullare il salvacondotto ai prigionieri, 119 dei quali vennero così giustiziati al cospetto della popolazione esultante come solo a Napoli la popolazione sa esultare, e addirittura si macchiò della incommensurabile porcheria di fare impiccare l’ammiraglio Caracciolo sulla propria nave, sotto la bandiera inglese, per dopo lasciare esposto il cadavere prima di farlo gettare nelle acque del porto dove avrebbe galleggiato per giorni, mentre Emma, che aveva assistito all’esecuzione da una barca, ne riferiva i dettagli alla regina.  Gli inglesi ne furono inorriditi.  Non potendo rivalersi sull’indispensabile Nelson, la loro indignazione si rifece su Emma.  Nonostante l’ammiraglio in punto di morte avesse raccomandato lei e la loro figlioletta Horatia alla generosità del proprio popolo, alla donna venne rifiutata una pensione.  Socialmente isolata, le precarie condizioni economiche le causarono anche un anno di detenzione in una prigione per debitori. Morì in Francia, in miseria e alcolizzata, dieci anni dopo Trafalgar e sei mesi prima che Napoleone concludesse a Waterloo il ciclo del proprio imperiale ridicolo.  Di lei rimangono i ritratti dipinti da George Romney che ne confermano la bellezza, e una cattiva reputazione, e chissà che fine avrà fatto Horatia, povera bambina, troppo innocente e indifesa perché la Storia potesse occuparsi di lei.

 

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