La Storia prima di diventare Storia è stata cronaca, il che ci fa pensare che saranno i protagonisti degli eventi di oggi a finire nei libri di domani, con la conseguenza che verranno celebrate anche le nullità ridicole con cui dividiamo la quotidianità, il “se tanto ci dà tanto” a suggerirci che perciò anche parecchi protagonisti che la Storia ci ha tramandato affogati nell’inchiostro e scolpiti nel marmo potrebbero essere stati ridicole nullità. La Storia del resto è madre parziale, che ama i propri figli per quanto imbecilli possano essere stati, e li riveste di patine gloriose perché possano arrivarci adamantini ed eroici, siano essi condottieri macedoni del IV secolo a.C. psichicamente disturbati, o imperatorucoli francesi di origine corsa del XIX secolo, mentre con i figliastri è impietosa e ne tramanda ogni magagna sminuente. Sta a noi ricorrere al vaglio critico capace di farci scoprire che certi figliastri sono stati migliori di certi figli. Prendiamo Davy Crockett. Negli Stati Uniti la tradizione popolare ricorda questo gigante vestito di pelle e con il cappello di procione come un eroe, mentre la Storia ce lo rende “minore”, cialtrone di quella che nel luogo comune è la cialtroneria yankee, fragorosa e pacchiana. Certo Crockett (1786-1836) non si risparmiò per apparire improbabile: non si può girare il Tennessee tenendo comizi elettorali con intorno cantastorie che raccontano a suon di musica come all’età di tre anni avesse domato un orso a suon di cazzotti, a dodici fosse andato per fiumi a cavalcioni di alligatori, in età adulta annodasse la coda di ogni puma incontrato, per concludere affermando che da solo valesse più di un esercito, e pretendere di entrare nella Storia dalla porta principale. Boscaiolo, cacciatore e scout, Crockett nel 1813 si era distinto nella guerra contro la Gran Bretagna, sporchissima, inglesi e americani a stringere alleanze contrapposte con le tribù pellerossa che in loro nome la combattevano alla propria pittoresca maniera, fra stragi di civili, torture e scotennamenti. Le gesta narrate nell’autobiografia vanno però filtrate attraverso le peculiarità del personaggio, affetto da protagonismo fracassone. Certo è che uscì dal conflitto con il grado di colonnello e con una solida amicizia con Andrew Jackson, futuro presidente degli Stati Uniti, e con Sam Houston, che avrebbe guidato la guerra di indipendenza del Texas contro il Messico. Terminato il conflitto, però, Jackson e Houston, assertori del principio che l’unico indiano buono fosse un indiano morto, si legarono agli speculatori terrieri che, raggirando capi tribù pellerossa certo feroci, ma ingenui fino alla dabbenaggine, ne compravano per cifre irrisorie i territori.
Fu allora che Crockett entrò in politica. Eletto all’assemblea legislativa del Tennessee nel 1821, divenne una spina nel fianco per gli ex amici Jackson e Houston, denunciando i raggiri ai danni dei pellerossa. Ma nel 1825 Jackson venne eletto alla presidenza, e la politica predatoria sui territori indiani riprese vigore, sempre contrastata da un Crockett che arrivò a essere eletto per due volte al Congresso. Battuto nel 1835, si ritirò dalla politica. Aveva conosciuto James Bowie, inventore del coltello da caccia che ancora oggi si chiama Bowie-knife, e insieme concepirono il progetto della “terra di Dio”, sorta di Eden dal quale fosse bandita ogni ingiustizia. Guardandosi intorno arrivarono alla conclusione che questa “terra” potesse identificarsi nel Texas, territorio messicano abitato da un notevole numero di coloni americani che ambivano all’indipendenza, e che invece il presidente, generale Antonio Lopez de Santa-Anna, aveva intenzione di espellere dopo averli privati dei beni. Nel febbraio 1836 Crockett e Bowie, alla testa di un gruppo di volontari, arrivarono nei pressi di San Antonio, in una missione chiamata Alamo perché un tempo circondata da piante di cotone (in spagnolo “alamos), dove si era rifugiato un gruppo di insorti al comando del colonnello William Travis. I difensori di Alamo divennero così 183. Pochi giorni dopo giunse Santa-Anna alla testa di 6000 uomini. In meno di due settimane gli assediati finirono le munizioni. Pur sapendo che Houston non sarebbe giunto a soccorrerli con le sue truppe, rifiutarono di ritirarsi, e Santa-Anna scatenò l’attacco finale. Il 5 marzo 1836 le sue truppe, protette dal fuoco dei cannoni, si lanciarono sui ruderi di Alamo al suono del “deguello”, nenia sinistra che significava lotta senza quartiere, e lotta senza quartiere fu. Si salvarono solo la moglie del tenente Dickinson con la figlia di un anno, la bambinaia e un ragazzino di colore scampato all’eccidio stando nascosto dietro l’altare. Travis era caduto sugli spalti e Bowie era stato inchiodato dalle baionette sulla branda dove giaceva ferito. Pare che sul corpo di Crockett qualcuno abbia contato 36 fori di proiettile e 22 colpi di baionetta, prima che venisse gettato fra gli altri 182 cadaveri e bruciato in un falò. Tutto sommato un bel personaggio morto per una nobile causa, ma la Storia con i propri figliastri mette una goccia di veleno nell’inchiostro che dovrà celebrarli, e così ecco Davy Crockett diventare protagonista di apologetiche pellicole disneyane e di un succedersi di film sulla battaglia di Alamo, con l’estremo oltraggio di venire interpretato da un John Wayne che, trasformatosi in velleitario e pessimo regista, ci ha imposto il peggior Davy Crockett mai visto.