23. Una bellicosa esibizionista chiamata Caterina Sforza

Viene da chiedersi come sarebbe stata la sua biografia se Caterina Sforza (1463-1509) avesse indossato biancheria intima e, soprattutto, se non si fosse sollevata la sottana per mostrare ciò che la suddetta biancheria avrebbe dovuto celare.  Non che questa figlia illegittima di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, non meritasse i fasti della Storia al di là delle ostentazioni delle sue grazie riposte, ma il dettaglio pruriginoso certo ha aiutato.
Cresciuta nella raffinata corte sforzesca, dimostrò subito un’indole fiera e una forte attrazione per l’uso delle armi, il che ce la fa immaginare piuttosto viriloide.  Pare invece fosse bella e aggraziata, ma quando mai la Storia ha dato il ruolo di protagonista a donne dall’aspetto modesto o addirittura brutte, il che costringe a dubitare della attendibilità dei cronisti.
In ogni caso a soli dieci anni venne destinata in sposa a Girolamo Riario, nipote di papa Sisto IV, che un quadro di Melozzo da Forlì ci mostra aitante e dall’occhio vacuo, con il quale ebbe sei figli.
Divenuta così signora di Imola e di Forlì, fece subito capire chi in casa portasse i pantaloni, mettendosi a far politica al posto dell’incapace marito e, in un vortice di populismo, abolendo le tasse sui propri possedimenti.
Nel 1484, alla morte del papa protettore, trovandosi a Roma assistette ai disordini nel corso dei quali la marmaglia imperversò dandosi al saccheggio.  Rifugiatasi in Castel Sant’Angelo fece puntare l’artiglieria sui palazzi vaticani, per fare intendere ai cardinali che dovevano riunirsi in conclave con chi avrebbero dovuto fare i conti.  In un rigurgito d’orgoglio il marito provvide a trascinarla via e riportarla a Forlì, dove ripristinò le tasse che la moglie aveva tolto.

Mal gliene incolse.  Il 14 aprile 1488 venne assassinato nel corso di un complotto ordito dalla famiglia Orsi, che imprigionò Caterina e i suoi figli.  La donna, con il pretesto di voler convincere alla resa il castellano di Rocca di Ravaldino rimastole fedele, si fece condurre nella fortezza, ma quando fu all’interno ne assunse il comando e guidò la resistenza contro le milizie degli Orsi.
È qua che pare sia avvenuta l’ostentazione delle sue intimità, perché, quando gli assedianti le portarono sotto le mura i figli minacciando di impiccarli se non si fosse arresa, lei dall’alto degli spalti alzò le sottane e, mostrando ciò che fino a quel momento almeno in pubblico avevano celato, gridò “Impiccateli pure, a me non manca lo strumento per farne altri.”

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Gli assedianti sbigottiti esitarono, lasciando il tempo alle truppe mandate da Ludovico il Moro in soccorso della nipote di chiudere la faccenda.  Caterina, ripreso il potere, infierì sui vinti e sulle loro donne, che vennero ognuna legata per i piedi al dorso di due cavalli lanciati poi in direzioni diverse.
Nel 1492, mentre Cristoforo Colombo si accingeva a scoprire un nuovo continente, salì al soglio pontificio Rodrigo Borgia con il nome di Alessandro VI.  Il papa gaglioffo in un primo momento parve provare simpatia per la vivace vedovella di Romagna, e Caterina, tranquillizzata, decise di cambiare stato civile innamorandosi di Giacomo Feo e sposandolo in segreto.
Il 27 agosto 1495, però, Giacomo finì assassinato, pare con il consenso dei figli di primo letto di Caterina, anche se una cronaca dell’epoca riferisce che in realtà il Feo sarebbe stato ucciso a causa dei “mali portamenti e ingiustizie che faceva al popolo di Forlì”.  Se i congiurati avessero tenuto a mente ciò che era successo dopo l’assassinio del primo marito della donna avrebbero lasciato perdere; la reazione alla seconda vedovanza, infatti, fece sembrare una sciocchezza quella scatenata in occasione della prima, e fu un altro bagno di sangue.
Caterina, che dal secondo matrimonio aveva avuto un figlio, in terze nozze sposò Giovanni de’ Medici, che fece in tempo a farle concepire un nuovo marmocchio prima di ammalarsi e morire, e il marmocchio in questione, battezzato Ludovico, sarebbe diventato famoso col nome di Giovanni Dalle Bande Nere.
Fra un parto e l’altro Caterina doveva anche vedersela con la politica.  Già in guerra contro Venezia, che intendeva occupare Forlì per farne un trampolino di lancio verso Firenze, dovette affrontare l’esercito francese di Luigi XII, che su istigazione di papa Alessandro VI occupò la Romagna per destinarla a Cesare Borgia, degno figlio del proprio pontificio padre.
Resistette come poté, combattendo sugli spalti della sua ultima ridotta, la fortezza di Ravaldino.  Venne tuttavia sconfitta e imprigionata dal Borgia, che pare le abbia anche usato violenza.  Condotta a Roma e incarcerata in Castel Sant’Angelo, il 30 giugno 1501 venne liberata sotto condizione di rinunciare ai propri domini in favore del figlio del papa.
La morte di Alessandro VI, avvenuta il 18 agosto 1503, la trovò a Firenze con una gran voglia di ripigliarsi la Romagna, ma fu la popolazione, memore del suo bellicoso temperamento, a non volerla.  Respinta dalla politica, si dedicò interamente a un’altra grande passione da sempre coltivata, cioè la cosmetica, per la quale pare avesse un notevole talento.
Morì di polmonite il 28 maggio 1509, e ci fu chi tirò un sospiro di sollievo, soprattutto in Romagna, perché la contessa di Imola e Forlì aveva dimostrato di avere talento anche per balestre e cannoni, e nessuno dava per scontato che creme e belletti le avessero levato del tutto la voglia di tornare a usarli.

 

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