Dal sarto di famiglia alle sartorie rapide

L’ARTE del fare non  è fine a se stessa: al contrario delle “Belle Arti “che si basano sull’estetica e sulla sensibilità dell’artista, gli oggetti prodotti dagli artigiani hanno un fine pratico, quotidiano, pur contenendo, nella parola stessa “artigianato”, una valenza estetica, culturale e storica di grande rilevanza.
Anche  l’arte sartoriale rientra quindi a pieno diritto nel mondo dell’artigianato.
Con l’avvento, nell’Ottocento, dell’era industriale, delle macchine e della produzione in serie, la figura dell’artigiano subisce un duro colpo. Ma continua a sopravvivere  in alcuni settori e in alcuni luoghi, più come elemento turistico che artistico.
La crisi dell’artigianato è stata  determinata anche dalla nascita del design e della moda, di cui l’Italia è stata ed è uno dei protagonisti a livello mondiale dagli anni Sessanta. Il design con le sue linee fredde, geometriche, plastiche, prive di orpelli, ha fatto “passare di moda” l’oggetto artigianale, costruito singolarmente, a mano, con un lavoro paziente di cesello e grazie alla conoscenza di segreti tramandati da padre in figlio. E i grandi sarti con la produzione dedicata alla grande distribuzione hanno reso accessibile il “marchio” a molti.
Ma dove è finita la signora Gemma, la vicina di casa cui rivolgersi per copiare l’abito visto su Grazia? O il signor Pino che tagliava e cuciva con l’aiuto della moglie e delle figlie l’abito fumo di Londra doppiopetto da cerimonia, modellandolo su misura su corpi non sempre perfetti, esaltandone i pregi e nascondendone i difetti, dopo almeno tre spossanti prove davanti allo specchio ovale verticale?

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Anche il lavoro sartoriale, ben diviso tra femminile e maschile, ha avuto la sua parabola discendente, in particolare quello femminile che si tramandava da madre in figlia, nei collegi e anche a scuola nelle ore di economia domestica. La ragazza di buona famiglia, moglie e madre, doveva portare in dote anche “mani d’oro”, e se poi voleva un “capo parigino” si rivolgeva alla sarta di fiducia che copiava i modelli dalle riviste di moda che arrivavano dalla Francia. Poi il lavoro fuori casa della donna, le priorità da dedicare alla famiglia e un cambio culturale profondo hanno eliminato quasi del tutto il ruolo di sarta casalinga, come del resto l’introduzione delle taglie nella produzione di massa, l’abbattimento dei costi e poi il consumismo esagerato degli anni Ottanta, hanno  declassato il lavoro dei sarti da  uomo.

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Da qualche anno, però, la crisi economica, la mancanza di lavoro per i giovani, la moda vintage, hanno portato a un recupero dell’immagine  del lavoro manuale in tutti i settori.
In particolare la crisi ha messo in evidenza l’incapacità di almeno due delle ultime generazioni a risolvere manualmente i problemi pratici della vita quotidiana che avevamo demandato ad altri, molto tempo prima di sapere che cosa fosse lo spread. Quanti di noi o dei nostri figli sanno riparare lo scarico di un lavandino? O montare una libreria (Ikea docet)? In quante delle nostre case c’è una macchina da cucire? Quanti sanno stirare bene una camicia, attaccare  un bottone? E fare un orlo? E quanti  hanno il tempo e la voglia di farlo?
Certo la crisi  ha fatto emergere in positivo nuove opportunità di lavoro che in gran parte sono stati ricoperte da “artigiani” provenienti da quello che chiamavamo il terzo mondo. Cinesi, sudamericani, filippini, indiani che non hanno mai smesso di  lavorare con le mani e con la macchina da cucire e che ora in tutti i quartieri delle nostre città, inscatolati in piccoli negozi che danno sulla strada, curvi sotto lattiginose lampade alogene, ci sostituiscono  colli delle camice, ci cambiano fodere e cerniere e rifanno orli.

Dopo il periodo cinese, dopo quello sudamericano e filippino c’è  anche un timido risveglio nazionale: ora si stanno aprendo, da parte di giovani che intendono fare impresa, piccole sartorie rapide che si specializzano in riparazioni e non solo. I più coraggiosi, che hanno seguito  corsi nelle numerose scuole di moda milanesi, si propongono anche come “stilisti” realizzando pezzi unici, come facevano le sarte di un tempo e sono riapparsi sui tavoli da lavoro  gessetti e  “cartamodelli” sui quali si tagliano stoffe e fodere. Tutto questo ha dato anche nuovo impulso a chi la sarta o il sarto lo ha sempre fatto pur in un settore di nicchia per amatori. Certo i prezzi devono essere competitivi e le consegne veloci e non sempre i risultati sono soddisfacenti.
C’è di tutto: chi si è specializzato in piccole riparazioni e chi invece in rammendi per capi importanti, chi recupera un abito firmato e chi si propone come couturier mettendo a disposizione del cliente anche la sua creatività.
Quello che è uno dei lavori artigianali più antichi del mondo, il più delle volte svolto per le sole esigenze familiari, sembra ora ritornare in auge, anche come opportunità in campo lavorativo, sia a livello personale che in franchising.
Certo per andare oltre l’orlo dei jeans ci deve essere passione, capacità manuale ma anche imprenditoriale, creatività, un piccolo capitale per macchinari e affitto locali e scelta della posizione del negozio che è molto importante. Si è calcolato che l’investimento iniziale si può aggirare sui 30/40.000 euro a cui bisogna aggiungere l’affitto del locale. Ovviamente tutto dipende dal livello dell’offerta, da eventuali dipendenti, se in franchising o meno, dal tipo e della quantità dei macchinari, dalla zona.
Abbiamo scelto per illustrare il nostro articolo alcune situazioni in zona 4 emblematiche di una realtà che riguarda tutta Milano: nello spazio di due anni  le proposte di sartorie rapide in città è quasi triplicata mentre sono spariti i negozi di sigarette elettroniche e si sono bloccati i Vendo Oro.
In via Rezia al 7 opera Viorica Rosca, giovane proprietaria della Sartoria Vicki.  Viorika appartiene a una famiglia di sarte e ha imparato l’arte dalla nonna e dalla mamma in Romania dove è nata. Una clientela di zona consolidata che si rivolge a lei in massima parte per lavori di riparazioni per abiti e cappotti di preferenza femminili: allargare, stringere, accorciare, riparare. Nella mia visita al laboratorio ho visto anche pellicce e capispalla da svecchiare e manichini con abiti in prova.”Si – mi conferma  Viorica o Vicki – realizzo anche capi su misura per le mie clienti” Tutto bene? – le chiediamo “Beh,- mi dice Viorica – il mio lavoro mi piace tanto, la clientela non manca, ma il problema sono i costi di gestione che mangiano i guadagni. Negli  anni passati avevo degli aiutanti ma ho dovuto eliminarli perchè non mi potevo  permettere di pagare i contributi. Fra l’altro questo mi spiace perché vorrei invece insegnare ai giovani il mio lavoro, ma ci sono troppe restrizioni e norme che non aiutano l’inserimento dei giovani in strutture come la mia”.

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Lasciamo Vicki mentre sta stirando con grande cura una gonna bianca millepieghe, non prima di averla invitata  ad entrare nella lista dei negozi convenzionati per gli Amici di Quattro. Se avete acquistato  la tessera potrete avere anche qui una agevolazione “amichevole”. La Sartoria Vicki è su Facebook.

Lasciamo via Rezia e non abbiamo che l’imbarazzo della scelta. Ma i laboratori di riparazioni rapide  non stanno diventando troppi?

C’è quello della Ipercoop di viale Umbria, c’è quello cinese di corso Lodi 34 Riparazione Sartoria, c’è la Sartoria Amna di via Tito Livio 11 di Abdul Salaam Saahir che viene dallo Sri Lanka, aperto da circa 6 anni che oltre alle riparazioni e pulitura dei capi di pelle e borse, taglia su misura abiti per uomo e donna ”sartoriaamna@yahoo.com”, e poi ancora in Tito Livio 20 La Boutique del Rammendo che unisce come dice l’insegna la tintoria tradizionale al rammendo, alla maglieria e alla piccola riparazione. Poi ancora in via Cadore Sartoria Stirare e tante altre. I livelli sono diversi, come la professionalità e l’ampiezza  dell’offerta.

E’ una moda? Durerà? Si vedrà, per il momento cerchiamo quello che ci soddisfa di più per costi, cura, velocità di realizzazione oppure diamoci da fare: un corso rapido di cucito, una macchina da cucire e via…do it yourself!

 Francesco Tosi

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