26. UN “GRANDE” CASO UMANO CHIAMATO ALESSANDRO

La Storia, per quanto riguarda la personalità dei suoi protagonisti, è una fiera del luogo comune in cui un Annibale o un Cesare, per citare qualcuno, subiscono il riferire spesso contraddittorio di contemporanei che ne avevano a propria discrezione scritto.  In realtà questi personaggi restano umanamente degli sconosciuti, e le uniche testimonianze atte a qualificarli sono le loro azioni.
Al cospetto di quelle di Alessandro il Grande (356-323 a.C.) c’è di che sbigottire.  Il giovanotto avrebbe dato da guadagnarsi da vivere a moltitudini di psichiatri, che però, visto il soggetto, per loro fortuna a quei tempi ancora non esistevano.
La Macedonia era una regione settentrionale della Grecia abitata da pastori estranei alle raffinatezze culturali delle città-stato meridionali.  La capitale, Pella, era poco più che un villaggio di capanne.  Filippo II salì su quel rustico trono nel 358 a.C.  Avendo studiato a Tebe, aveva imparato a conoscere gli altri greci e i loro difetti, e intendeva farne tesoro.  Organizzò il proprio esercito di 10.000 uomini nella falange, massa compatta di fanti disposti in sedici file, armati della micidiale sarissa, asta lunga tre metri e mezzo che non veniva mai lanciata, e protetti ai fianchi da nuclei di cavalleria.
Ma i suoi problemi stavano in famiglia.  Filippo era sposato con la principessa epirota Olimpia (o Olimpiade), che si diceva discendente dell’eroe omerico Achille.  La regina, affiliata a una “tìasi”, setta femminile dedita a riti arcaici, ostentava comportamenti oscuri e asseriva che il figlio Alessandro non fosse stato concepito con Filippo, ma con il dio Zeus comparsole fra le coperte sotto forma di serpente, immaginiamo con quale gioia del marito.
Alessandro crebbe con il meglio che ci fosse come insegnanti: Leonida per la ginnastica, Lisimaco per la letteratura e nientemeno che Aristotele per tutto il resto.  Quando il padre decise di lanciare il proprio esercito sulle città greche satelliti di Atene, guidò un’ala della cavalleria, e nel 338 a.C., quando Atene e Tebe affrontarono i macedoni a Cheronea venendone disfatti, seppe distinguersi.
Filippo avrebbe avuto di che rallegrarsene, ma Alessandro era morbosamente attaccato alla madre, che vedeva le proprie prerogative messe in pericolo dalle concubine del marito, e i rapporti fra padre e figlio si fecero tesi al punto che, quando Filippo venne assassinato, furono in molti a credere che dietro il regicida ci fossero Olimpia e Alessandro.

4 alessandro

Una volta salito sul trono il giovane re, che conosceva a memoria l’Iliade e si sentiva votato a grandi imprese, si mise alla testa delle proprie truppe e percorse gli stati greci che gli si inginocchiarono davanti.  Sconfinò in Romania e in Serbia sconfiggendo gli eserciti che gli venivano opposti, e ritornò in Grecia dove, alla falsa notizia della sua morte, le guarnigioni macedoni erano state massacrate.  Per rappresaglia fece radere al suolo Tebe, mentre con Atene, patria della cultura che tanto ammirava, fu generoso.
Rinforzate le truppe con 20.000 greci si diresse contro la Persia.  L’esercito del re persiano Dario contava un milione di uomini, ma quanto valessero davvero si vide allorché dovettero scendere in battaglia.  Alessandro li sconfisse a Granico, fece iniziare la costruzione alla foce del Nilo della città di Alessandria e procedette verso oriente, non senza avere prima cosparso di fiori la supposta tomba del presunto antenato Achille.
Ritrovò l’esercito di Dario ad Arbela e lo mise in rotta.  Pianse sul re nemico assassinato dai propri stessi generali, fece giustiziare i colpevoli e riprese ad avanzare verso est, combattendo e distruggendo città.  In India sconfisse l’esercito del re locale Poro, ma, gravemente ferito in uno scontro, dovette fermarsi per tre mesi.  Ristabilitosi si portò sull’Indo e, rimandati in patria via mare feriti e malati, si rimise in marcia attraversando il deserto del Belucistan, nel quale caldo e sete fecero strage dei suoi guerrieri.
Tornato a occidente, a Susa decise che il proprio dominio del mondo si sarebbe basato sugli scambi matrimoniali, e diede l’esempio sposando Statira, figlia del defunto Dario, e Parisati, figlia di Artaserse, riunendo così nel proprio letto già piuttosto frequentato le due branche della famiglia reale persiana.
Ormai ritenendosi un dio, fece assassinare quanti riteneva stessero tramandogli contro dopo avere estorto con la tortura ogni sorta di confessione, e uccise di persona l’amico d’infanzia Clito, reo di avergli detto che i suoi successi militari erano dovuti alla organizzazione dell’esercito lasciatogli dal padre.
Come Achille era stato legato a Patroclo, Alessandro aveva il proprio favorito in Efestione, e quando questi morì fece uccidere il medico che non aveva saputo salvarlo e sacrificò sulla tomba dell’amato una intera tribù persiana, dopodiché costrinse i sacerdoti di Ammone-Zeus a dichiarare dio il defunto.  Ormai in pieno delirio e spesso ubriaco, durante una gara di resistenza tracannò quattro litri di vino che, associati a un attacco di malaria, lo portarono alla tomba.
I generali eredi del suo regno fecero trainare il feretro da 64 muli disposti nelle 16 file tipiche della falange.  Tolomeo, antenato di Cleopatra, spostò la sua tomba da Menfi ad Alessandria, dove è ancora nascosta, per la gioia di tutti i possibili aspiranti Indiana Jones che vorranno tentare di riportare alla luce i resti di quel “grande” caso umano che fu Alessandro.

 

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