di Luca Cecchelli
Da stasera fino domenica Natalino Balasso, attore, comico e autore di teatro e cinema, porta al Carcano una personale riscrittura di ispirazione ruzantiana, un nuovo testo teatrale dai toni ora comici, ora drammatici.
A quando risale il primo incontro con Ruzante nella vita di Balasso?
«Come molti studenti di liceo classico il primo incontro è stato a scuola. Da giovane personalmente andavo spesso a teatro a vedere sue commedie, rappresentate da varie compagnie».
“Per quanto il teatro sia una dimensione nella quale puoi permetterti di parlare qualsiasi lingua, ho sempre però considerato quella di Ruzante ‘straniera’, un linguaggio distanziante.
Per quanto, nel momento in cui riesci a entrarci, ti diverti”
Balasso fa Ruzante di fatto è il titolo di una commedia. Da tutto il Ruzante letto hai creato una drammaturgia originale, una storia ruzantiana. Come nasce?
«Avevo già tradotto due o tre commedie, in particolare La Betìa, ma anche i dialoghi. Inizialmente tradotti nella prospettiva di capire cosa potesse essere interessante rappresentare. Ad una attenta analisi onestamente però non ho trovato le commedie di Ruzante interessanti in termini di plot e i dialoghi, pur stimolanti, privi una drammaturgia completa. Ho deciso allora di iniziare questo lavoro creativo, molto lungo – tre anni – durante il quale ho costruito una drammaturgia nuova basata sui plot di Ruzante».
“Non è un testo di Ruzante ma ruzantiano:
dentro c’è tutto Beolco, anche gli stessi personaggi”
Che personaggi ruzantiani vedremo in scena?
«Marta Cortelazzo Wiel sarà Gnua e Andrea Collavino interpreta Menato. Rappresentano di fatto due sintesi di personaggi ruzantiani. Nella Gnua ad esempio ci sono diversi elementi di protagoniste femminili, così come Menato rappresenta diversi amici/competitor del Beolco».
Nelle alterne fortune critiche di Ruzante uno dei fattori è sicuramente la difficoltà linguistica. Il pavano scompare da più di due secoli rispetto alla contemporaneità del Beolco, a tratti è inintelligibile anche ai suoi conterranei. Come hai lavorato in questo caso sul lessico, in modo da far arrivare questa lingua antica?
«Il pavano è una lingua estinta, un po’ come il latino. Gli stessi pavani dell’interno non capiscono Ruzante, per questo c’è sempre stata la necessità di tradurlo.
Io ho scritto una commedia in italiano, dopodiché ho pensato che sarebbe stato bello dare al pubblico l’illusione di ascoltare un italiano antico. Ho utilizzato per il lessico dei personaggi alcuni termini del fiorentino antico, specialmente alcuni verbi, ma ‘filtrando’ in modo che il linguaggio fosse geolocalizzato in una precisa regione d’Italia. Mi hanno aiutato gli utili diari di Antonio Pigafetta, navigatore vigentino contemporaneo di Ruzante. Pigafetta scrive in fiorentino, ma i suoi diari sono intrisi di venetismi, comprese esclamazioni e interiezioni tipiche irrinunciabili come ‘cancaro’ – generalmente tradotto con ‘cazzo’, ma più con il senso di augurare un male».
“Balasso riesce a reinventare un nuovo gergo e sonorità che si ritrovano nei testi tratti dalle opere originali e nei componimenti letterari e teatrali del drammaturgo, attore e scrittore veneto. I tre personaggi, che parlano un neodialetto crapulone, oltraggioso e spassoso, riescono a costruire una riflessione sulle stagioni della nostra vita – dall’edonismo dell’infanzia fino ai rimpianti e alle rivendicazioni della maturità – anche grazie ad esso”
Le tematiche della commedia ricalcano fedelmente nei contenuti e nei riferimenti Ruzante, oppure c’è anche qualche ammiccamento all’attualità?
«A ben vedere non sarei fedele nemmeno a Ruzante, si tratta di una commedia nuova. Ci sono comunque anche tematiche aggiunte, ma sempre in linea al Ruzante. A me non piace molto il termine attualità, preferisco sempre parlare di contemporaneità, con uno sguardo un po’ più ampio. Oggi già ci sono già i social che parlano di attualità con risultati a mio avviso penosi. Confido sempre nell’intelligenza dello spettatore, non mi piace molto dare indicazioni su come vadano letti i testi. Credo che ognuno li possa leggere sempre non solo in funzione del suo livello di preparazione – ovvio cioè che chi conosce i testi di Ruzante apprezzerà alcuni riferimenti – ma chi non li ha letti si troverà davanti una commedia autonoma».
“Preferisco che da questo racconto cinquecentesco sia poi il pubblico
a creare link mentali al suo bagaglio culturale, senza imboccare nulla”
Questo sempre nella logica di abbattere le barriere con il pubblico?
«Da tempo i miei spettacoli non sono concepiti per la critica, ma per il pubblico. Il vero grande assente del teatro. Se facciamo caso ai discorsi che si sentono intorno al teatro da parte di teatranti e addetti ai lavori – non parliamo dei cosiddetti operatori teatrali, etichetta orribile nata con il DAMS – si sente sempre fare riferimenti o ai grandi autori del passato, o agli attori di grido in scena, oppure ai meccanismi economico-organizzativi del teatro, siano bandi, concorsi o procedure ministeriali. E sempre poco spazio è dato al pubblico, in realtà il motivo più pressante per cui si fa teatro. Scrivere per il pubblico contemporaneo è sempre il mio punto di partenza, a cominciare dal presupposto di un comune sentire, quei sentimenti universali che porto in scena».
Anche la scenografia fumettistica e ‘pop’ dunque concorre a sostenere l’idea di cui parlavi sopra?
«Ci sono riferimenti fumettistici e il fondale è un celebre quadro, scelta della nostra regista Marta Dalla Via. Gli oggetti di scena, realizzati da Roberto Di Fresco, con cui ho già lavorato in passato, sono sì molto fumettosi. Una soluzione che segue l’idea di semplificare e ridurre, in ragione della rappresentazione di un luogo molto piccolo. Così come è molto raccolta la vicenda stessa limitata alle tensioni erotiche tra tre personaggi che vivono in un fazzoletto di terra e che poi la guerra disperde per farli ritrovare a Venezia. Venezia vista come città commerciale, luogo lontano dalla campagna padana, dove regna, secondo il Beolco, la serenità. Tutto quindi viene simbolicamente rimpicciolito, motivo per cui Roberto ha ricostruito questo campetto limitato da uno steccato fumettistico, così come oggetti e tavoli intrecciati con corde o sedie traballanti disegnate come fossimo dentro ad un racconto virtuale».
“Roberto alludeva ad Alan Ford e al gruppo TNT, ma a me sembra una scenografia che si ben si accorda al quadro grafico che c’è sul fondale,
diventando il teatro un luogo altro”
Dario Fo ha definito Ruzante “il più grande autore di teatro che l’Europa abbia avuto nel Rinascimento, prima ancora dell’avvento di Shakespeare”. Molti colleghi sono innamorati di Ruzante. Cosa c’è di così attraente, per un attore e un regista?
«Bisogna intanto ricordare che Beolco scrive di teatro nel periodo in cui comincia a fiorire la commedia dell’arte, anche se il suo è un teatro con qualche personaggio fisso, ma che ancora non ha maschere e caratteri tetragoni, cioè personaggi con sfumature psicologiche. Bisognerà aspettare Goldoni per avere dei personaggi con una profondità psicologica maggiore. Ecco allora che Ruzante è visto da chi fa teatro oggi come qualcosa di moderno, più moderno rispetto a quello che è venuto dopo.
Inoltre, a partire dall’accezione moderna che il comico è soprattutto azione, mentre il drammatico pensiero, è anche vero che queste commedie di Ruzante hanno elementi drammatici notevoli, non ultima la figura della donna. Una figura la cui condizione forse nel Cinquecento era vista come normale, ma che oggi percepiamo come in stato di schiavitù. Proprio questo rende forte il personaggio della Gnua, donna contesa tra due uomini, ma anche combattuta, indecisa se scegliere nella vita l’amore o la sicurezza. Sentimenti universali che arrivano anche agli spettatori contemporanei».
La comicità di Ruzante è senza tempo?
«Sì, ma vale anche per il dramma. Questa è la forza dell’arte, quella di immaginare. Tutto sta nella forza evocativa della rappresentazione di eventi che potrebbero accadere in futuro o che non avverranno mai. Io confido proprio sull’immaginazione del pubblico quando si rappresentano situazioni lontane dal nostro spazio e tempo».
“Ruzante è uomo contemporaneamente furbo e credulone, pavido eppure capace di uccidere, eroe comico dentro il quale scorre qualcosa di primitivo che lo rende immortale. Credo che Angelo Beolco, con il suo alter ego e le sue opere, volesse dimostrare che un altro modo di fare arte/cultura era possibile e provava a fare azioni sceniche antisistema anche quando era accolto da quel sistema. In questo credo che la vicinanza con la poetica e la visione di Natalino Balasso sia evidente” Marta Dalla Via
Nel corso dei secoli Ruzante è passato da essere considerato autore “tutto istinto” a oggi come autore “colto”, con citazioni e riferimenti nelle sue opere dalla cultura classica a echi della cultura luterana d’Oltralpe. E Ruzante oggi come si colloca?
«Ruzante vive in un’epoca in cui il teatro si fa in primis per i nobili. Accanto c’è anche il teatro per il popolo e la commedia dell’arte ne sarà la dimostrazione. Che il Beolco fosse colto è più che probabile perché proveniva da classi borghesi e si rivolgeva – basti vedere a chi dedica le proprie opere – a protettori nobili. L’impressione che ho io è che Beolco sia Ruzante, semplicemente perché dalla scrittura lo ha portato in scena. E la fortuna di questo binomio è il dileggio del mondo contadino, la semplificazione dei sentimenti, gioco comico usatissimo. Credo che Ruzante sia partito prendendo in giro quel mondo contadino, ma che pian piano se ne sia innamorato. Sembra che ci sia molto affetto nella crudele semplicità del Ruzante e nella crudele semplicità di tutti i suoi personaggi. Crudele al punto che, caso insolito, in una delle sue opere c’è l’omicidio di un vecchio in scena, qualcosa che non si vedrà più per molto tempo. Non voglio riferirmi al fatto che sia sintomo di chissà quale intelligenza, ma sicuramente di un’apertura diversa: cosa può diventare il teatro e cosa può rappresentare. Tanto per dire che era uno che aveva compreso un’anima del teatro che ancora oggi ci somiglia e che è moderna, pur essendo lui del Cinquecento».
Sappiamo cosa stai portando a teatro, al cinema sei stato recentemente protagonista di Comedians e ora?
«Faccio sempre progetti a lungo termine, niente nell’immediato futuro. Sicuramente, oltre a questo spettacolo, proseguirò la tournée del mio monologo sulle parole, “Dizionario Balasso”. Per il resto dovrebbe uscire quest’anno un altro film di Gabriele Salvatores che abbiamo girato l’anno scorso sul ritorno di Casanova, dall’omonimo romanzo dell’austriaco Arthur Schnitzler».
BALASSO FA RUZANTE
Amori disperati in tempo di guerre
10 – 12 febbraio, ore 20.30
13 febbraio , ore 16.00
di Natalino Balasso
Con Natalino Balasso, Andrea Collavino, Marta Cortellazzo Wiel
Regia Marta Dalla Via
Scene Roberto Di Fresco
Costumi Sonia Marianni
Disegno luci Luca dé Martini di Valle Aperta
Produzione Teatro Stabile di Bolzano, ERT – Teatro Nazionale
©L.C.
Milano, 10 febbraio 2022
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