di Luca Cecchelli
In scena al Teatro Oscar Desidera un classico di Pirandello prodotto dal Teatro de Gli Incamminati in prima nazionale fino a sabato 2 aprile. Parliamo con l’attrice Rossella Rapisarda.
L’uomo, la bestia e la virtù, commedia, o come dice Pirandello “apologo in tre atti”, scritto nel 1919 e ispirato dalla novella Richiamo all’obbligo. Quelle etichette attaccate ai personaggi presenti nel titolo, come altre, sono ancora oggigiorno forse più facili da appiccicare addosso agli altri, ma spesso difficili da ammettere a se stessi, è così?
«Decisamente. Uno dei punti focali dello spettacolo è proprio questo concetto di “etichetta” in senso critico, tra ciò che ci viene appiccicato addosso dalla società e la realtà dei fatti. In questa commedia, come tipico di Pirandello, un vero maestro, prende sviluppo un continuo gioco tra la maschera sociale e quello che è l’essere reale. Come si vedrà alla fine l’uomo e la bestia risulteranno l’uno specchio e opposto dell’altro. Interessante è appunto il gioco che si viene a creare per mantenere queste etichette. Anche “la Virtù” man mano si spoglia, diventando quello che esteticamente può sembrare quanto di più lontano da essa: si prostituisce e si adatta trovando mille espedienti per far risultare credibile la sua maschera, finendo per comportarsi all’opposto di quello che la virtù vorrebbe o dovrebbe esprimere. È un gioco continuo per mascherare e smascherare l’uomo, che spesso non ha il coraggio di aprire gli occhi davanti allo specchio – cosa che invece fa proprio il mio personaggio quando, guardandosi, si dice con consapevolezza “ma questa è una maschera orribile”.
“C’è un attimo in cui, nella sua mostruosità, il mio personaggio si rende conto di non essere quello che appare. Eppure, tra mille giochi che di virtuoso non hanno nulla, fa di tutto pur di mantenere la propria etichetta di virtù”
È un continuo tentativo di salvare le apparenze. I personaggi, volendo dare un’immagine lontana dalla propria essenza nella realtà non si rendono conto di essere vittime di loro stessi, oppure ne sono consapevoli? Da questa considerazione nasce un dubbio: se sia cioè più importante poter essere riconosciuti e chiamati “uomo”, “virtù” o “bestia”, oppure, grazie alla possibilità di un’analisi reale, guardarsi allo specchio e rendersi conto di quello che si è davvero».
“L’Uomo è il “trasparente” professor Paolino, che ha una doppia vita: è l’amante della signora Perella – la Virtù – moglie trascurata del Capitano Perella – la Bestia – ufficiale di marina che torna raramente a casa”
Protagonista femminile dello spettacolo sei tu, la signora Perella: semplice e minuta figura di una donna piena di sogni, imprigionata in un mondo di uomini che dettano le regole di un gioco divertente e leggero, che sa diventare spietatamente sadico e perverso. Parliamo della “Virtù”.
«Per meglio inquadrare il mio personaggio premetto intanto che lo spettacolo è stato immaginato come fosse all’interno del tendone di un circo. Un’intuizione registica ispirata allo stesso testo nel quale Pirandello tende a descrivere i vari personaggi in maniera zoomorfa. Il figlio Nonò è raccontato come un gatto, L’Uomo ha le sembianze di un domatore e la Bestia è come una tigre, un animale pericoloso – che poi, come spesso accade, risulta meno pericolosa dell’uomo. La Virtù, parte di questa ambientazione grottesca e decadentemente circense, è una specie di scimmietta prima ammaestrata dal professore e infine data in pasto alla Bestia».
“Le “Virtù” di Pirandello sono maschere, attrazione e repulsione degli esseri umani, modelli stereotipi cui i personaggi aderiscono con diversi gradi di consapevolezza,
valori verso cui tendono, ma anche spauracchi da cui fuggono”
Personaggio scommessa di questo adattamento originale è il “piccolo” Nonò, figlio undicenne del Capitano e della signora Perella. Parte affidata ad Angelo Lodetti, baritono dalla fisicità imponente. A lui che non conosce le gabbie delle convenzioni sociali, spesso solo in scena quale forma di “straniamento”, il compito di commentare gli altri personaggi intonando celeberrime arie di Mozart che alludono proprio all’ipocrisia nei rapporti d’amore.
«In questa riduzione abbiamo immaginato che il figlio rappresentasse qualcosa di “ingombrante”, sia per la figura del Capitano che cerca in qualche modo la sua libertà, sia per la madre, perché è sempre presente mentre lei cerca di confessare di essere incinta dell’amante. Non è stato scelto un bambino, o un attore che fingesse di essere un bambino, ma un corpulento cantante lirico, proprio per sottolineare questa presenza ingombrante della verità. É l’unico che non ha filtri, l’unico che attraverso il gioco teatrale del cantar arie – da Le nozze di figaro e Così fan tutte – svela l’ipocrisia, la falsità del nascondersi dietro maschere. È lui che si accorge che la madre ha i sintomi della nausea perché incinta e apre la bocca a pesce per prenderla in giro. Quando Nonò è in scena, c’è sempre il pericolo che la verità esca. Difficile da nascondere, sfida la falsità: come se da un momento all’altro la verità avesse sempre bisogno di trapelare mettendo a rischio tutti i personaggi.
“Nonò sta sempre in scena durante i dialoghi tra la madre e il professore: origlia, disturba e minaccia – inconsapevolmente – di mandare all’aria i loro piani,
con il candore dell’innocenza che parla e dice la verità”
Cifra stilistica di questa riduzione, come accennavi poco fa, è l’ispirazione al mondo circense. Ci sono riferimenti precisi?
«Ci sono riferimenti ai colori forti e decisi di Botero, soprattutto relativamente al personaggio mio e di mio figlio Nonò. E naturalmente a Fellini, in particolare all’ironia e alla malinconia trasognata dell’immaginario de La strada, ma anche rispetto all’uso delle musiche di Nino Rota. La scenografia rappresenta l’interno di un tendone da circo: nel primo atto, nella casa del professore, è come se fosse smontato. Nella seconda parte invece viene issato: si tratta della messinscena della cena nella quale si tenta di costringere “la Bestia” a mangiare una torta afrodisiaca perché vada con la moglie e quindi si giustifichi la presenza del figlio. Un immaginario fatto di costumi grotteschi ed estremi nel quale sono compresi tutti: durante questa cena clownesca si cela in realtà una tragedia, la meschinità degli esseri umani».
“Una commedia esilarante e atroce che, sotto l’apparente leggerezza, diventa una farsa tragica che si fa beffa dei valori morali e religiosi di una umanità ipocrita”
Ti sei già misurata con Pirandello in passato? Qual è, da attrice, il tuo rapporto con Pirandello?
«Inutile dire quanto ami Pirandello, come molti colleghi che fanno questo mestiere. E particolarmente devo dire. Da subito sono stata molto contenta di entrare a far parte di questo spettacolo, in particolare una commedia in cui, attraverso gioco e sorriso, si possono svelare verità più profonde.
Per me è la seconda prova: prima de L’Uomo, la Bestia e la Virtù l’unico testo con cui mi fossi già misurata in scena è stato Trovarsi. In quell’opera viene indagato il rapporto tra l’arte e la vita, tra una donna di teatro e l’incapacità forse di toccare la vita, o forse di trovarla direttamente nel teatro. Avevo collegato quel personaggio, Donata, allo studio della mia Nina, tratta da Il Gabbiano di Čechov. Trovarsi ha tematiche, criticità, visioni e conflitti che mi hanno toccato moltissimo, soprattutto nella mia personale ricerca teatrale. Per quanto riguarda invece il mio rapporto con Pirandello da spettatrice ho sempre seguito gli altri titoli noti. Pirandello è il teatro, non puoi non amarlo: è un continuo svelamento teso alla ricerca della verità. E soprattutto ha la meravigliosa forza di smontare quelle false verità che ci costruiamo, mettendo di fronte alle reali fragilità e dinamiche dell’essere umano. É il senso più profondo del teatro».
“Una poetica personale quella di Oliva, sempre più orientata verso un teatro di parola e d’immagine, classico e innovativo insieme,
che rispetta i testi nella loro integrità,
ma li attraversa con un immaginario forte dal taglio cinematografico”
Questo adattamento, in prima nazionale, tratta il tema della maschera tanto caro a Pirandello e al percorso che Alberto Oliva e Mino Manni stano portando avanti in questi anni, rileggendo in chiave contemporanea i classici della letteratura e del teatro. Che tipo di rilettura senti sia la loro rispetto al rapporto tra contemporaneità e classici?
«Entrambi vengono dal successo dell’adattamento del loro Il fu Mattia Pascal e tornano a confrontarsi con Pirandello in una commedia che rappresenta un banco di prova per grandi interpreti. Un pretesto per parlare dei vizi del mondo contemporaneo, a fronte di un “politicamente corretto” sempre più faticoso da sostenere. Oltre alla scelta registica dell’ambientazione circense, a livello testuale è stato modificato poco: Pirandello è moderno di suo, forse proprio perché un classico. Forse proprio perché racconta il tentativo dell’essere umano, a volte anche ridicolo, non solo di ingannare il mondo ma per primi noi stessi. O peggio di non essere sempre consapevoli, come tutti i personaggi di questa commedia, dei giochi di cui sono essi stessi vittima. La scelta registica va a risaltare ed esaltare una lettura anche nel dileggio dell’uomo di volersi attribuire etichette, immagini e maschere. La modernità viene molto da un’opera che riporta dinamiche di inizio ‘900 che oggi, nell’era social, vengono solo amplificate. Maschere 2.0».
Si ringrazia Walter Spelgatti per la collaborazione.
L’UOMO, LA BESTIA E LA VIRTÚ
29 marzo – 2 aprile, ore 20.30
di Luigi Pirandello
Con Mino Manni, Rossella Rapisarda, Gianna Coletti, Andrea Carabelli, Riccardo Magherini
e con la partecipazione del baritono Angelo Lodetti
Regia Alberto Oliva
Scene Francesca Ghedini
Costumi Alessia di Meo
Produzione Teatro de Gli Incamminati
Durata spettacolo in scena 70 minuti
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©L.C.
Milano, 31 marzo 2022
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