di Luca Cecchelli
Prosegue, anche dopo l’8 marzo, l’omaggio alle donne con lo spettacolo di Giobbe Covatta, “Scoop”, da stasera al Teatro Delfino fino domenica. Con Covatta procede il cartellone 2021/2022 della sala di Piazza Carnelli dedicata al filone comico, insieme a importanti nomi del panorama stand up comedy italiano, come Alberto Patrucco, Paolo Hendel e Alessandra Faiella.
Donna sapiens: che la donna sia superiore all’uomo ormai sembra un dato di fatto. Tu personalmente ricordi un episodio nel quale ne hai avuto la prima prova? Ma soprattutto come convalidi questa tesi nello spettacolo?
«Ne sono personalmente convinto da sempre, sotto molti punti di vista. Chiaro che, da comico, si può sempre dimostrare tutto e il contrario di tutto, ma la mia tesi in questo caso viene sostenuta attraverso contenuti credibili. Non solo perché io sia il primo a crederci, ma anche perché si tratta di elementi che hanno spesso una valenza scientifica, oltreché un peso personale».
“Per convalidare la tesi della superiorità della donna sull’uomo spazio dalla storia, alla sociologia, alla medicina: da ogni punto di vista il maschio della razza umana esce perdente”
Facciamo uno scoop, per restare al titolo: una qualità della donna su tutte?
«La resilienza. Lo dico soprattutto alla luce di quello che sta accadendo in questi ultimi giorni nel mondo. Forse non sarebbe stata la mia prima risposta fino a due o tre settimane fa, ma lo è adesso più che mai. Mi rattrista molto vedere tavoli della pace dove scorrono fiumi di testosterone e non si siede neanche una donna. Proprio loro, le prime a salvaguardare la vita».
C’è nello spettacolo un momento che ami particolarmente nel raccontare le donne?
«No…e perché? Io odio le donne! Sto facendo questo spettacolo solo perché spero di non essere tacciato di maschilismo (scoppia a ridere)! Scherzi a parte non saprei ancora risponderti perché lo spettacolo ha finalmente debuttato a Roma solo una settimana fa e io sono ancora letteralmente con carta e penna in mano – non uso il computer – a correggere appunti, cercare nuove soluzioni e passaggi per amalgamare bene lo spettacolo. È il lavoro del comico: si mette a tavolino, comincia a scrivere qualcosa e pensa se potrà mai far ridere. E non lo saprà finché non sarà davanti a un pubblico a recitarla per scoprirlo. E laddove non c’è abbastanza umorismo bisogna rimetterci mano. Ma non sarà difficile parlando di noi uomini».
“Gli spettacoli comici sono sempre per definizione work in progress.
E io sono ancora in progress. Work poco, ma progress tanto”
Nello spettacolo interviste impossibili a personaggi che parlano di donne, persino con Dio sulla creazione dell’uomo e della donna, tema che hai già trattato anche nei tuoi libri. La predilezione per queste tematiche sta forse anche nel tuo nome d’arte?
«Non ho scelto questo nome, Giobbe, me l’hanno appioppato a scuola. Anche se nessuno dei miei compagni di scuola si ricorda perché. Io nemmeno. Nessuno ha una genesi di questo nickname che mi porto appresso da quando avevo dieci anni. Non ha nulla a che vedere col nome d’arte, è proprio così come ti dico. Anche mia moglie e mia figlia mi chiamano così. Solo in banca mi chiamano Gianni Covatta».
Tra le interviste impossibili anche un uomo del futuro che mette in guardia sui rischi di un mondo assoggettato all’arroganza maschile. Senza arrivare ai femminicidi, vedi andare verso un alimentare meno questo stereotipo di inferiorità nei confronti della donna?
«A me quello che ha sempre preoccupato tanto, e più passa il tempo più mi preoccupa e mi imbarazza, è l’ignoranza. Io all’ignorante imputo un sacco di disgrazie, è responsabile della mancata comprensione di tante situazioni. Ed essere arroganti nei confronti delle donne è un fatto culturale, non genetico. La genetica fa la sua parte, ma è la cultura che è poi costruita in quel modo. Più passa il tempo e più l’ignoranza diventa profonda se non si lavora decostruendo quello stereotipo culturale e non si migliorano le capacità di analisi e critica da parte dei maschi. Bisogna stare molto attenti a difendere certi diritti o la situazione peggiorerà ancora di più. Il problema è che siamo abituati bene e i diritti spesso li diamo per scontati, senza ricordare quanto la conquista di essi, soprattutto nel mondo femminile, abbia provocato e procurato sofferenza e angoscia a tutte quelle mie coetanee che si sono fatte un mazzo a cappello per poterli ottenere!
“Quando si parla di quei favolosi anni ’60, erano favolosi sul serio. Non perché sentivamo i Beatles. Anche per quello. Ma favolosi soprattutto perché il mondo, dopo gli anni ’60, era diverso dal mondo prima degli anni ’60”
Gli anni ’60 hanno segnato un altro mondo, un’altra cultura, un altro modo di essere, un altro modo di ridere. E per arrivare a ottenere tutto questo quelle poverette si sono sacrificate non poco. I diritti vanno difesi perché le nostre mamme non li hanno comprati all’Upim, li hanno sudati. Con sofferenza, arrivando a fare cose che non sempre sono state felici di fare. Persino la rivoluzione sessuale: nessuna era forse completamente appagata da quella battaglia, ma è stata necessaria per dimostrare al mondo quanto fossero capaci di emanciparsi. É costata, probabilmente saremmo stati serenamente e giocosamente solo fidanzati, chissà. Non è stato facile o naturale passare dalla società patriarcale, prima dei favolosi anni ’60 alla società più o meno libera che è arrivata dopo. E quelle conquiste hanno avuto un prezzo e vanno mantenute e rispettate».
Per restare in tema di rivoluzione sessuale invece ti chiedo: chi è Nello?
«Nello? Ah, Clemente. A Napoli Clemente è…u cazzu! Anzi, precisamente Clemente La Mazza. Non sarà in scena proprio lui ma il suo avvocato. Perché sì, Nello va difeso: non è cambiando Clemente che si cambia il mondo, ma cambiando il cervello!»
“Clemente deve fare il suo dovere, punto.
D’altra parte rimarrebbe solo disoccupato, non sa fare…nient’altro”
Lo spettacolo si chiuderà con un poetico omaggio finale…possiamo spoilerare?
«Sarà un sonetto di Shakespeare. O per lo meno un sonetto attribuito a Shakespeare. Non si sa se sia di Shakespeare. Io dichiaro che non sapendo se sia o non sia di Shakespeare, forse potrebbe anche essere della sorella di Shakespeare. Non fosse altro per rimanere in tema».
Milano è la città che ha visto il tuo esordio teatrale nel 1991 al teatro Ciak con Parabole Iperboli. Com’è tornare a Milano, soprattutto dopo il recente periodo lontano dalle scene con un altro dei tuoi spettacoli dalla risata divulgativa? Che rapporto hai con questa città?
«Ho da sempre un rapporto affettuosissimo con Milano. Per lo meno da parte mia nei confronti di Milano, poi non so se è reciproca la cosa…Io ho vissuto dieci anni a Milano, divertendomi come un matto: un periodo della mia vita in cui non ero ancora sposato ma un giovane comico scapolo in compagnia di grandi amici, miei compagni di lavoro, da Iacchetti a Faletti a Salvi. Eravamo veramente una banda di cretini, ma abbiamo goduto il nostro lavoro come mai, in piedi fino alle 7 del mattino nella bella Milano (sorride). È sempre un piacere tornare».
“Basta poco che ce vo’”, dicevi in un celebre spot. Ricordando il tuo rapporto con il terzo mondo e quanto ricordato prima sui nostri diritti: perché non cominciamo ad essere felici nel renderci conto di quello che abbiamo?
«Forse perché siamo viziati, non lo so. Sì, diamo per scontato tutto quello che abbiamo. Probabilmente senza la consapevolezza che quello che abbiamo è tutto a discapito di quello che altri non hanno. Se abbiamo tutto questo è perché qualcun altro non ha nulla, altrimenti non potremmo averlo. Un po’ è rimozione, un po’ inconsapevolezza. E un po’ è che siamo viziati: abbiamo tante cose inutili, però nel momento che ci vengono tolte ci incazziamo».
“Basta poco che ce vo’” in realtà lo sento oggi come uno slogan non del tutto vero. Serviva a motivare la gente, ma non è vero che basta poco. Dammi retta dobbiamo farci un mazzo a tarallo, non basta poco. A poco a poco semmai si percorre la strada, ma se andiamo avanti così non ci basta un’autonomia di 500 anni.
E chissà in questa strada lunga 500 anni cosa si troverà”
E parlando di donne, in ultimo, il pensiero non può non andare alle donne ucraine.
«Chiuderò lo spettacolo con Shakespeare, come detto, ma ruberò qualche secondo in più per dedicarlo in particolare alle donne ucraine, oggi in guerra. E in particolare alle donne afgane che sono state sorpassate a destra dalla storia. E in particolare a quelle africane, che invece nella storia non ci sono mai entrate».
SCOOP
Donna ridens
18 e 19 marzo, ore 21.00
20 marzo, ore 16.00
di Giobbe Covatta e Paola Catella
Con Giobbe Covatta
©L.C.
Milano, 18 marzo 2022
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