Ritorni di stagione: “Pandora” al Franco Parenti

di Luca Cecchelli

Dopo il debutto alla Biennale Teatro di Venezia nel settembre 2020, torna in casa Parenti “Pandora”, l’ultimo spettacolo della compagnia del Teatro dei Gordi. L’intervista all’ideatore e regista Riccardo Pippa

Una scena di “Pandora”

Il Teatro dei Gordi – dal latino gurdus, terreno fertile – è un collettivo emergente nato nel 2010 a Milano e che opera nell’ambito del teatro di figura, del teatro ragazzi e della danza. Dal 2015 collabora con il regista veronese Riccardo Pippa. Da questo incontro è stato realizzato lo spettacolo Sulla morte senza esagerare, nome tratto dal titolo di un poema della poetessa polacca Wislawa Szymborska. Nel 2018 è la volta di Visite, ispirato al mito di Filèmone e Bàuci: qui personaggi mascherati (e non) alloggiano in una camera da letto dove vedono passare le stagioni della vita in cerca di una forma di resistenza rintracciata nei ricordi e nell’incontro con gli altri. Fino ad arrivare a Pandora (2020). Ne parliamo col regista Riccardo Pippa.

Cominciamo dal titolo: perché Pandora?
«È un riferimento da prendere in senso letterale, per non dire proprio mitologico: allude all’apertura di una sorta di “vaso di Pandora” che contiene tutte le fragilità umane e i momenti di debolezza che vengono svelati attraverso la dinamica scenica del bagno. Il bagno inteso come sorta di pit stop della vita quotidiana, nel quale non si entra e si sosta solo per motivi fisiologici, ma anche per trovare sfogo esistenziale. Pandora è una sorta di rappresentazione di una apertura o rottura interiore che svela nuove essenze».

“Guardiamo la realtà attraverso maschere di cartapesta, figure familiari, presenti, che raccontano, senza parole, gli ultimi istanti, le occasioni mancate, gli addii. Raccontiamo storie semplici con ironia, per parlare, anche oggi, della morte, sempre “senza esagerare”. Questa, per noi, è la ripartenza”

 Tua l’ideazione, prima ancora della regia: come nasce Pandora?
«Lo spettacolo è nato a seguito di una richiesta di Antonio Latella per la Biennale di Venezia 2020, incentrata sul tema della censura: da lì abbiamo cercato di comporre qualcosa in cui rientrasse quella tematica. È sempre molto difficile partire da un tema, perché il tema è l’opposto dell’azione: si rischia di portare in scena un predicozzo. Per questo è stato necessario trovare una sorta di situazione e relativa dinamica, attorno alla quale costruire lo spettacolo. Dopo vari tentativi, anche vicoli ciechi, ho avuto l’idea del bagno. Un bagno pubblico nel quale transita varia umanità. Questo spunto ha acceso subito il gruppo: ciascuno di noi aveva pezzi di vita, ricordi o esperienze legate a quell’immaginario. Nei primi giorni in cui ci eravamo messi a ragionare su questo bagno pubblico capitava che, quando ci chiedessero a cosa stessimo lavorando, subito riscontrassimo entusiasmo da amici e conoscenti, compresi altri aneddoti. Pian piano ci siamo resi conto di quanto questo lavoro potesse avere un vero potere evocativo nei confronti del pubblico. Abbiamo presto realizzato di essere sulla strada giusta per continuare a raccontare un’umanità variegata, in questa nuova tappa del nostro percorso».

“Un bagno in fondo a un corridoio o sotto la piazza di una città. Può essere il bagno di un aeroporto, di un club o di una stazione di servizio. Lo attraversa un’umanità variegata e transitoria. È un luogo di passaggio, d’attesa, d’incontro tra sconosciuti, un camerino improvvisato dove fare scongiuri, nascondersi, sfogarsi. È un covo per i demoni, un’anticamera, una soglia prima di un congedo
o un battesimo del fuoco”

I Gordi da tempo stanno compiendo un’indagine su una forma teatrale che si affida al gesto, ai corpi con e senza maschere, a una parola-suono essenziale volta a superare barriere linguistiche dunque assolutamente inclusiva dal punto di vista del pubblico. Che tappa rappresenta Pandora?
«Ogni spettacolo non comincia mai con un manifesto programmatico, anche relativamente al linguaggio. Come dicevo tutto ha preso forma dalla situazionalità che può offrire un bagno pubblico: dunque, come si può intuire, non si tratta di un salotto dove chiacchierare, ma un luogo nel quale prevale la gestualità. La nostra idea ha aderito ad un linguaggio legato al gesto e alla parola, cosa già avvenuta nei primi due spettacoli. La parte interessante di questa produzione è che mette in discussione quello che era il linguaggio legato alla maschera. In Pandora c’è un passaggio, quasi un cameo di una maschera di Visite, ma per il resto non ci sono altre maschere di cartapesta, intese come finora fatto. In Pandora ci sono poche maschere e sono spesso estemporanee, a volte non hanno neanche il tempo del racconto di una storia. C’è chi si sporca la faccia con della crema, chi crea una maschera con un indumento e altri casi. Il linguaggio delle maschere è come se si fosse un po’ sedimentato nei corpi dei ragazzi, un linguaggio molto asciutto che non demanda al viso la rappresentazione delle emozioni. In questo senso la maschera continua ad essere un ottimo strumento propedeutico, anche dal punto di vista teatrale».

“É come se ci fosse una sorta di sedimento che le maschere hanno lasciato nel lavoro del gruppo, a livello di efficacia scenica. Sei attori che propongono 50 figure e per ogni figura hanno trovato una chiave, con misura.
Riguardo “Pandora” sempre con rinnovato stupore,
è un lavoro pazzesco in scena”

Nel bagno di Pandora puoi essere e fare ciò che vuoi con l’ironico obbligo di lasciare ciò che trovi esattamente come lo trovi. Leave as you found me (“Lasciami come mi hai trovato”) è il cartello in evidenza sulla parete del bagno: come se il passaggio di persone non dovesse lasciare alcun segno, anche se di fatto in scena accade il contrario. Che luogo è questo bagno, cosa vuole rappresentare, metaforicamente e non, a livello esistenziale?
«Vuole essere di base il luogo privilegiato per la rappresentazione di quelle fragilità di cui parlavo prima. L’idea di questo monito è nata da un suggerimento di Rita Pelusio, che mi disse: “Io nei bagni trovo spesso questo cartello, “Lasciami come mi hai trovato”, frase che ho fatta mia,. L’ho detta anche al mio compagno!” É bellissima la suggestione di questo monito, quasi una richiesta umana all’altro di lasciarti come ti ha trovato. Una richiesta impossibile e disperata: nessuno ti lascia mai come ti ha trovato, purtroppo o per fortuna è così. La vita non ti lascia come ti trova: questa richiesta estrema dunque può aprire nuovi sensi rispetto all’umanità che vediamo transitare in questo bagno, con toni più o meno gravi. Il tono, a momenti alterni, è per lo più venato di comicità, ironia e leggerezza, ma non sono le sole emozioni che si manifestano: c’è anche follia, solitudine, malattia, problemi lavorativi, stress, rapporti di coppia, persino momenti di violenza. E questo invito disperato, contribuisce a generare come dicevo nuovi sensi rispetto a quello che accade in scena».

“È impossibile essere lasciati come si viene trovati, sia per i personaggi che per il bagno stesso che viene imbrattato e devastato. Il bagno poi può anche essere rimesso a nuovo, le persone purtroppo o per fortuna no.
Siamo attraversabili nel bene e nel male
e in questo consiste la nostra fragilità”

Dopo il passaggio in questo spazio sospeso, scandito da anomalie comportamentali al limite dell’isteria e la successiva reintegrazione in società, ogni personaggio esce come rinnovato. Qual è la dialettica tra questo anonimo bagno unisex senza riferimenti, all’interno del quale decadono tutte le regole della società benpensante, e un esterno che può solo essere immaginato?
«Basta un segno, un costume e siamo subito catapultati in una realtà, in un immaginario sociale. L’escamotage teatrale è molto semplice e diventa pretesto per raccontare diversi ambienti da un’altra angolazione, per non dire interno. É come se da questo spioncino teatrale potessimo intuire anche quello che è l’esterno. E sono i personaggi a dare carattere all’azione trasformandolo di volta in volta nel bagno di un locale notturno, di un aeroporto o di un’azienda: i contesti sono vari. Per quanto riguarda l’ambito lavorativo ci sono in particolare due scene riuscite che raccontano bene quello che le persone hanno dovuto subire prima di entrare…ma non spoilero (sorride)».

 “Non è un luogo più vero rispetto al fuori, è solo un altro aspetto dell’esserci. Se fuori ci si deve attenere alle norme sociali, ad una prassi, al gioco, dentro si dismette qualcosa. É uno spazio amorale, di sospensione, anche di grossa violenza e nudità, un luogo comune dell’interiorità dove ampliare lo spettro dell’azione quotidiana oltre i limiti e le censure”

Il regista Riccardo Pippa

Ad “aprire le danze” un maniaco dell’igiene vittima della sua stessa battaglia contro i germi – con evidenti rimandi alla recente attualità. In questa fenomenologia del bagno e relativi quadri, gli altri personaggi vengono dalla ricerca di gusto di una umanità definita o seguono i dettami della situazionalità?
«Siamo stati molto liberi. Lo spettacolo è nato durante il lockdown. Dal momento in cui abbiamo stabilito che il set fosse il bagno, ci siamo ritrovati chiusi in casa con riunioni via zoom, durante le quali ho chiesto a tutti, sulla base di miei  quadri di partenza, di ipotizzare scene, canovacci di figure e simili, che attraversassero questo ambiente. E lì c’è stata una prima raccolta di ricordi di vita o semplicemente l’invenzione creativa. Inevitabilmente dopo la prima condivisione e catalogazione dei materiali sia ha l’onore e l’onere di dover tagliare e risistemare. L’unica idea guida è stata quella di considerare una serie di scene surreali, oniriche o reali, ambientate in questo bagno da un’alba all’altra. Uno spettacolo partorito da me e altre sei teste pensanti, compreso il rapporto assolutamente drammaturgico anche con la costumista Ilaria Aliemme – 50 figure fondamentali, vestite dalla testa ai piedi. C’è uno spettacolo che il pubblico vede e un’altro dietro le quinte con gli attori che in modo roccambolesco devono passare da un costume all’altro. E poi la scenografia: evidentemente anche la scelta dello spazio è drammaturgia. Così si è partiti, con la fiducia che i percorsi migliori siano quelli che si scoprono man mano, senza sapere dove si arriverà. Sapendo idealmente dove guidare ma sempre con la possibilità di essere sorpresi. Questa è la bellezza di lavorare in un gruppo numeroso, insieme alla difficoltà, la confidenza, la fiducia di concedersi uno spazio di confronto e scoperta».

“Filo conduttore del percorso del Teatro dei Gordi ad oggi è la ricerca di un linguaggio specificamente teatrale, fatto di movimento, partiture di gesti concreti, oggetti, vestiti, maschere, musica, poesia, presenza e incontro.
Nel lavoro di scena ricercano sinestesie
e un teatro poetico capace di emozionare e produrre immagini vive”

In due occasioni compaiono anche le celebri maschere di Ilaria Aliemme, citatat poco fa. Maschere di cartapesta che hanno caratterizzato i due spettacoli precedenti – Sulla morte senza esagerare e Visite. Insieme ad esse anche maschere di tutti i giorni, siano fatte da una benda, un paio di occhiali, un’espressione o da un volto, improvvisate, estemporanee o mostruose, a rappresentare il dismorfismo e la dispercezione di allucinazioni e paranoie. Si allarga l’alfabeto della maschera?
«Con Pandora si allarga sicuramente. Se parliamo di futuro però siamo ancora persi nelle ipotesi, nel senso che non ci precludiamo niente. C’è tutto un campo ancora da scoprire, nel quale le maschere restano sicuramente l’elemento più evidente, ma c’è anche il linguaggio, inteso non solo come parola-suono ma anche in senso descrittivo. E poi i quadri, le immagini. Non so dire ancora che rotta prenderemo, cosa potrà essere il prossimo spettacolo, ma Pandora ha rappresentato uno smarcarsi dall’immagine di una compagnia che lavora sempre necessariamente con le maschere. Un ottimo traguardo dato che essere etichettati o creare quel tipo di aspettativa nel pubblico rischia da un lato di renderci sì riconoscibili – cosa che può funzionare a livello promozionale – dall’altro rischia di fossilizzarci nei termini della ricerca artistica. E noi anteponiamo sempre questo tipo di libertà, sempre avuta anche a livello produttivo. Pandora ci ha tolto un certo tipo di zavorra dal punto di vista delle aspettative».

Le prospettive di questo spettacolo, dal debutto ad oggi?
«Questi ultimi anni sono stati quanto di peggio per ragionare in termini di prospettive, anche se molti ci stanno spronando a proporci anche all’estero, soprattutto dal punto di vista del linguaggio. Un po’ meno opportuno da un punto di vista logistico, considerando che le nostre scene tendono a diventare piuttosto complesse e andare in tournée diventa una manovra importante quanto ai costi.
Quello che mi piace è sentire però il pubblico equamente diviso, per gradimento, tra i nostri tre spettacoli, compresi anche tanti affezionati, che li hanno visti tutti. È meraviglioso. Quanto a Pandora ormai vengo in teatro solo per prendere qualche note di regia, ma da una replica all’altra vedo rinnovarsi sempre di più in scena una magia e un vero lavoro di team tra i ragazzi. C’è forte disciplina del lavoro, fanno training insieme e tutto funziona sempre meglio perché il gruppo è rodato, è la sua forza. Non so se il risultato sarebbe lo stesso con un cast eterogeneo. Quest’idea di squadra sicuramente è evidente e vincente nei Gordi».

 

Si ringrazia Francesco Malcangio per la collaborazione.

 

PANDORA
6 – 10 aprile 2022

mercoledì 06/04ore 21.00
giovedì 07/04 ore 21.00
venerdì 08/04 ore 19.45
sabato 09/04 ore 19.45
domenica 10/04 ore 16:15

Ideazione e regia Riccardo Pippa
di e con Claudia Caldarano, Cecilia Campani, Giovanni Longhin, Andrea Panigatti, Sandro Pivotti, Matteo Vitanza
Dramaturg Giulia Tollis
Maschere e costumi Ilaria Ariemme
Scene Anna Maddalena Cingi
Disegno luci Paolo Casati
Suono Luca De Marinis
Vocal coach Susanna Colorni
Responsabile tecnico Alice Colla
Scene costruite presso il laboratorio scenotecnico del Teatro Franco Parenti
Costumi realizzati presso la sartoria del Teatro Franco Parenti, diretta da Simona Dondoni
Produzione Teatro Franco Parenti/Teatro Stabile di Torino- Teatro Nazionale/ Fondazione Campania dei Festival in collaborazione con Teatro dei Gordi
Durata spettacolo in scena 65’ minuti

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https://www.instagram.com/teatrofrancoparenti/

©L.C.
Milano, 8 aprile 2022
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